giovedì 9 febbraio 2017

Musiklife: Cosmo's Factory

Andrea li conosceva già per Suzie Q, ma non aveva capito di che pasta fossero fatti veramente. Pensava che si trattasse di una delle tante band americane da una canzone e via, ce n’erano tante e di molte si era già dimenticato. Alla radio le loro canzoni non le mandavano proprio, neanche ne parlavano le poche trasmissioni musicali per i giovani come lui: tutte le attenzioni ai Byrds o addirittura ai Guess Who - guà due anni dopo non se li ricorderà più nessuno. Una canzone epocale, “American Woman”, poi più niente - per non parlare dei Canned Heath e dei loro blues tiratissimi, resi ancora più particolari dalla voce del loro cantante. Lui e i suoi amici erano ammaliati da Aqualung e dalle suites dei Genesis, dunque misiche ben lontane dalla potenza feroce di John Fogerty e soci e dall’orecchiabilità sempre in bilico fra tradizione e pop.
Gliene ne aveva parlato una fiamma del tempo e lui, più per fare colpo su di lei che per reale interesse, una sera a casa si mise al lavoro: ascoltava Radio Luxemburg, quasi unica finestra sul mondo della musica.
Era annunciato il nuovo album dei CCR, anche questo trasmesso per intero come facevano solo loro, giusto con una pausa per voltare il disco. Alle 22 l’inizio: lo speaker presenta il disco come una svolta epocale nel rock, enfatizzando molto l’evento e paragonando i CCR a Beatles e a tutti i grandi gruppi rock del tempo, non per lo stile e il sound, ma per la carica di innovazione che portavano.
Tutte belle, ben suonate, voce clamorosa, uno scenario nuovo. Andrea dormiva con i suoi due fratelli, era tardi e volevano andare a letto, ma lui non accennava a spegnere la radio a valvole (quella a transistor c’erano già, ma era affezionato alla mia Magneti Marelli, con i pezzi di carta incastrati fra le valvole per tenerle ferme). Aveva cercato di abbassare il volume e per sentire teneva l’orecchio incollato al diffusore. Il rumore era lo stesso troppo forte.
“Apri ‘sta porta sennò la butto giù e ti spacco la faccia, così impari…”. Erano oramai le 23 e l’intervento di suo padre gli impedì di sentire per intero l’ultima canzone dell’album, “Long as I Can see the Light”. Pazienza, il disco aveva fatto comunque il suo effetto e le urla di sua madre a supporto delle minacce paterne madre non riuscivano a scacciare dalle sue orecchie quello che avevo sentito. Musica facile, ritmata, parole semplici, fin banali, una forza incredibile che manteneva perpetualente alta l’attenzione dell’ascoltatore.
Diventò subito fanatico, una settimana dopo comprò il disco e cminciò a consumarlo a forza di sentirlo. Cercò di socializzare l’esperienza, ma si sorprese a scontarsi con amici sofisticati che reputavano il disco troppof facile. Improvvisamente Abraxas, che aveva nello stesso modo ascoltato fino all’ossessione e che aveva imparato a suonare per intero, non gli diceva più nulla.
Ma alle porte c’erano film e colonna sonora di Woodstock: stavano arrivando in Italia e già Jimi stava facendo vibrare cuori e ormoni. Nemmeno tre mesi dopo la scena era nuovamente cambiata del tutto: Crosby e soci, Janis Jimi, Doors e psichedelica. Ciao Credence Clearwater Revival!

dicembre 1970

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