"Intorno a noi si sta formando una cappa grigia. Ci impedisce di vedere oltre, lo sfondo si fa sempre più incolore e indistinto... fra un po' sarà del tutto invisibile". Seduta al tavolino di un bar scalcagnato e poco pulito della zona islamica di Mostar, Claudia si aiutava con le mani e con il resto del corpo disponibile per rendere più ficcante la sua affermazione. Suonava come una richiesta di aiuto; aiuto a capire, a smentire quella brutta sensazione che le stava avvelenando l'anima, a saltare oltre l'ostacolo per trovare nuovi modi per affacciarsi al mondo con l'ottimismo che prima non aveva mai perso.
Perfino il bambino che le stava attaccato al seno e che aveva smesso di succhiare addormentandosi di botto, per fino lui cominciava a sentirlo evanescente, più lontano, come se quell'empatia che li aveva protetti dal mondo negli primi otto mesi della sua vita stesse lasciando il posto al distacco. Aveva sempre pensato che il distacco sarebbe stato del bambino dalla mamma, in una progressiva e lunga ricerca di collocazione autonoma nel mondo attraverso una strada accidentata di autonomia, attraverso sbagli e successi, gioie e dolori, amarezze e dolcezze. Invece era lei, la mamma, a staccarsi con troppa rapidità dal suo bambino. Non voleva che fosse così, ma la sua testa andava per suo conto.
Bob interruppe il silenzio inebetito: "Dai, non preoccuparti. E' un momento così, forse sei anche più stressata del solito perché cominci a sentire le fatiche della maternità.